LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE DIMENTICHI IL LACANISMO"

pagina creata il 5 aprile 2009 aggiornata il 15 dicembre 2012

 

 

Un logocentrismo particolare

A ragion veduta nella pagina sul logocentrismo ho definito quello del dottor Lacan un logocentrismo in forma “pura”. La sua purezza consiste, infatti, nella tesi dell’autonomia del significante. Con mossa furbesca, un po’ come Freud attribuì falsamente il proprio mito dell’orda a Darwin, per acquisire autorevolezza scientifica, Lacan attribuì falsamente la tesi del significante autonomo al Circolo di Praga e a de Saussure. In realtà, quella tesi è farina del suo sacco, anzi è farina del diavolo, destinata a finire in crusca. Leggiamo nella prima pagina di Radiophonie (1970):

“La linguistique, avec Saussure et le Cercle de Prague, s’institue d’une coupure qui est la barre posée entre le signifiant et le signifié, pour qu’y prévale la différence dont le signifiant se constitue absolument, mais aussi bien effectivement s’ordonne d’une autonomie.” (J. Lacan, Autres écrits, Seuil, Paris 2001, pp. 403).

Nella pagina su De Saussure ho denunciato l’errore di Lacan. Il rapporto tra significante e significato non è inesistente. Esiste, ma è arbitrario. C’è una minaccia terroristica della purezza logocentrica istituita da Lacan. Essa isola il significante da ogni rapporto con il pensiero e con l’azione, ne fa un’entità metafisica astratta – un Uno o uno stoichéion nelle mani del Super-Io. Poiché del significante autonomo non si dà scienza, sfuggendo a ogni tipo di controllo razionale, la purezza logocentrica del dottor Lacan è pronta a formalizzare, quindi a giustificare, qualunque arbitrario, insopportabile e incontestabile editto superegoico ai danni del soggetto.

In cosa consiste, filosoficamente parlando, il logocentrismo lacaniano? Lo spiega bene Vannina Micheli-Rechtman nel suo libro La Psychanalyse face à ses détracteurs (Aubier, Paris 2007). Bisogna partire da Cartesio e dall'uso che Lacan ne fa in funzione dell'individuazione del moderno. Come a ogni buon fenomenologo – si pensi a Husserl – anche a Lacan il cogito cartesiano non basta. Il fenomenologo vuole qualcosa di più "rigoroso". Allora Husserl inventa l'epoché. E Lacan?

Lacan pretende di riconoscere nell'originale "io penso" cartesiano una dimensione puramente immaginaria, incapace di fondare alcunché. Allora, secondo la Micheli-Rechtman, per fondare la psicanalisi come scienza rigorosa, Lacan trasforma l'enunciato "io penso" in significante, spostandolo dal registro immaginario a quello simbolico. La mossa tipicamente logocentrica si avvale di un cortocircuito tra linguaggio e metalinguaggio, mettendo le virgolette al primo. Leggiamo allora: «cogito ergo sum» ubi cogito, ibi sum (J. Lacan, L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud (1957), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 516)."Simbolico" è il modo lacaniano di dire "logocentrico". Nel registro simbolico il significante produce degli effetti soggettivi, che sarebbero testimoniati da altri significanti, che prendono il posto dei primi. Nella fattispecie, nella vicenda del soggetto della scienza, l'esistenza del soggetto del pensiero è testimoniata dal significante "io sono" (ivi, pp. 49-50). Tutta la complessa dialettica soggettiva, che in Freud si articola nei conflitti tra istanze psichiche, in Lacan si riduce alla e si banalizza nella famosa formula tautologica, vertice di logocentrismo: "Il significante rappresenta il soggetto per un altro significante". Ovvero, miseria del logocentrismo. Miseria che non va senza effetti pietosi. Ne segnalo due.

Innanzitutto, il logocentrismo spinto non rende un buon servizio al povero Cartesio, già osteggiato dai teologi del suo tempo e dagli accademici del nostro. Sposta tutta la riflessione cartesiana sul piano linguistico, quando si sa che per Cartesio il linguaggio era solo uno strumento di comunicazione del pensiero. Cartesio non fu mai logocentrico (Cfr. Lettera di Cartesio a Mersenne sul progetto di una lingua universale, Amsterdam 20 novembre 1629).

In secondo luogo, il logocentrismo spinto, ammesso ma non concesso che riesca a far presa sul soggetto della scienza, si lascia completamente sfuggire l'oggetto della scienza, cioè l'infinito. Perché? Perché non esiste il significante che rappresenti l'oggetto infinito per un altro significante. Nella pagina sul "categorico" spiego che l'infinito è un oggetto fondamentalmente non rappresentabile in modo univoco, nel senso che di esso si possono dare modelli non equivalenti. La mossa lacaniana porta necessariamente alla falsa (e non freudiana) dottrina dell'oggetto foncièrement perdu. L'oggetto non esiste. Quindi, tipicamente, non esiste sessualità infantile in Lacan. Anzi, tutta la sessualità si riduce a una questione puramente logica, priva di ogni riferimento al corpo. "Non esiste rapporto sessuale", recita lo slogan nilsessuale di Lacan, perché non esiste corpo che non sia immaginario. Il logocentrismo rivela così la propria miseria di discorso senza oggetto, come ogni discorso filosofico, e senza differenza sessuale corporea, come ogni discorso teologico.

Anche se un po’ tardivamente e solo dopo aver fondato la propria scolastica su una dottrina ferreamente logocentrica, Lacan riconobbe, benché solo indirettamente, la carenza di scientificità del proprio insegnamento. Nel seminario del 19 dicembre 1972 riconobbe che la sua famosa “logica del significante” non era affatto una linguistica scientifica, ma solo una linguisteria (J. Lacan, Encore, Seuil, Paris 1975, p. 21). Dal gioco di parole forse traspare una nostalgia di scientificità, se mai Lacan credeva a quel che avrebbe affermato, l’anno dopo a Natale del 1973, in Télévision: “Le discours scientifique et le discours hystérique ont presque la même structure” (J. Lacan, Télévision, Seuil, Paris 1974, p. 36).

Ma l’intervista pubblica dell’anno successivo (novembre 1974) a Roma non lascia dubbi sulla radicalità del Nostro logocentrico “duro e puro”.
Uno del pubblico gli fece notare: “Da quanto ho capito, nella dottrina lacaniana alla base dell’uomo non c’è la biologia o la fisiologia, ma c’è il linguaggio. San Giovanni l’aveva già detto: ‘In principio era il Verbo’. Lei non ha aggiunto niente.”
Il Maestro rispose: “Ho aggiunto una piccola cosa. ‘In principio era il Verbo’, sono d’accordo. Ma prima del principio dov’era?”
Capito? La purezza – e l’aberrazione – del logocentrismo lacaniano sta nel situarsi addirittura prima del Verbo. Nel preverbale? No, in Lacan non c’è né una teoria della mente né una teoria del corpo. Il suo logocentrismo è di principio – anzi prima di ogni principio – e totalmente astratto da ogni linguaggio particolare. Ha pretese metafisiche, non scientifiche, il dottor Lacan.

Elisabeth Roudinesco, sua agiografa, tenta oggi di riportare il Maestro con i piedi per terra, precisamente in terra di Francia. Recentemente, in un’intervista concessa a Per Magnus Johansson, per la rivista Psykoanalytisk, leggo una tesi storico-interpretativa dal sapore sciovinista sull’eccezionalità della cultura francese in rapporto alla  lingua. Ne riporto un ampio stralcio:

“L’exception française [...] ne tient donc pas au nombre de psychanalystes (il y en davantage dans d’autres pays) mais à cette situation particulière dont l’origine remonte à la Révolution de 1789 qui a doté d’une légitimité scientifique et juridique le regard de la raison sur la folie, signant ainsi l’acte de naissance institutionnel de la psychiatrie, puis à l’affaire Dreyfus qui a rendu possible l’instauration d’une conscience de soi de la classe intellectuelle. En se désignant comme “avant-garde” celle-ci a pu s’emparer des idées les plus novatrices et les faire fructifier à sa manière. A quoi s’ajoute la naissance d’une modernité littéraire où s’est énoncée à travers Baudelaire, Rimbaud et Lautréamont, et dans une écriture nouvelle, l’idée de changer l’homme à partir du “Je est un autre”.
          L’exception tient aussi au statut accordé depuis toujours en France à la grammaire, aux mots, au vocabulaire, au lexique. Loin de regarder la langue comme l’instrument empirique d’une communication, les élites françaises l’ont toujours inscrite à un place unique : celle d’être d’abord une langue écrite ayant pour fonction d’homogénéïser la nation, puis la République. Ainsi la langue française doit-elle représenter un idéal de la langue, quelque chose comme une fonction symbolique du langage, sa loi, son impératif catégorique. De là découle l’importance donnée non seulement à l’Académie, dont le rôle est de légiférer sur le “bien parler” et le “bien écrire”, mais aux écrivains en général. Cette conception de la langue est totalement étrangère aux autres pays d’Europe. Elle explique en tout cas qu’un grammairien (Edouard Pichon) ait pu jouer un rôle si important dans la genèse d’une conceptualité française du freudisme dont on retrouvera la marque chez les deux grands maîtres de la psychanalyse de ce pays : Jacques Lacan, formaliste mallarméen d’une langue de l’inconscient, Françoise Dolto, porte-parole d’un lexique du terroir parfaitement adapté à l’identité nationale”.

Ma la verità della Roudinesco non è tutta la verità. Nel 1866 la Società Linguistica di Parigi propose di bandire ogni studio sulle origini del linguaggio, editto ribadito un secolo dopo sull'interdizione degli studi sul linguaggio animale. Il linguaggio non ha origini perché è causa sui, come il Dio di Spinoza, evidentemente. Insomma, i francesi il logocentrismo ce l'hanno nel sangue. Come dire che per ogni buon francese il linguaggio è il fondamento del soggetto – innanzitutto del soggetto collettivo francese. I francesi dimenticano gli sforzi della filosofia tedesca di concepire un soggetto senza fondamento, magari un soggetto cartesiano.

Sì, perché il fatto paradossale è proprio questo. Nonostante il suo logocentrismo, nonostante la ferrea resistenza alla scienza, nonostante la vecchia metafisica di cui è impregnato – sostituisci a “idea” “significante” e traduci Platone in lacanese –, Lacan ci ha insegnato che nell’inconscio freudiano si muove il soggetto cartesiano della scienza. (Il problema è, allora, stabilire quale scienza: antica o moderna? presocratica o galileiana?) Questo è il guadagno definitivo che alla fine Lacan ci consegna. Il resto della pletora seminariale è praticamente da dimenticare. Non serve alla costruzione di una psicanalisi scientifica.

Conclusione troppo drastica? Forse, ma è la conclusione di chi vuol fare pulizia del bla-bla logocentrico. A chi come me non sopporta la chiacchiera logocentrica segnalo una conseguenze pratica, precisamente etica, figlia della dissoluzione del simbolico, operata dal logocentrismo, che nella dottrina lacaniana è particolarmente evidente.
Detto in termini lacaniani, logocentrismo significa sopravvalutare l’Altro Grande e svalutare l’altro piccolo, il registro simbolico della Legge e della Verità rispetto al registro immaginario degli inganni auto ed eteroriferiti, riassunti nel motto sartiano “io sono un altro”. Come conseguenza dell'opzione logocentrica, il registro immaginario decade, così, a luogo del narcisismo e della cattura speculare da parte dell’immagine del simile, me stesso compreso. Tutto il potere sul soggetto, distinto dall’Io, è nelle mani dell’Altro simbolico. Nel linguaggio logocentrico il cosiddetto registro simbolico è solo un altro nome per Super-Io.

Ma se il mio prossimo svanisce nell’immagine speculare, se perde la sua corporeità e la sua densità carnale, se si allontana dalla radice biologica dell’“animale che dunque sono” (Derrida), che fine fa l’etica? Purtroppo, fa una brutta fine. Diventa un’etica astratta, inapplicabile e disumana come quella kantiana. (La diagnosi di Lacan, che riconosce Kant come perverso, è azzeccatissima). Allora la morale diventa un’etica senza reciprocità e senza empatia – parola detestata da Lacan –, diventa, cioè, una pratica autoreferenziale e solipsistica, priva di orizzonti cooperativi. (nota 0) Insomma, diventa un’etica puramente formale (kantiana), priva di contenuti esistenziali, perché due volte vuota: a) è priva di riferimenti al legame sociale in cui il soggetto vive; b) è priva di riferimenti al corpo in cui il legame sociale si incarna. Come si sa, l'etica lacaniana si riassume nella massima antigonesca:

Non cedere sul desiderio.

No, grazie!
Preferisco un’altra psicanalisi, magari più scientifica, purché più attenta a noi altri piccoli uomini immaginari ma concreti, parenti delle grandi scimmie antropomorfe, nostre cugine, non più buoni né più cattivi di quel che immaginano i filosofi logocentrici.

UN ESPERIMENTO MENTALE ANTILOGOCENTRICO

Prova a pensare, contro i comuni stereotipi antropocentrici, che presuppongono il distacco e la superiorità dell’uomo sulla bestia, a quale fine farebbe il freudismo, una volta ammessa la continuità evolutiva tra animale e uomo. Dopo tutto, l'uomo si è distaccato dalle scimmie antropomorfe solo poco più sei di milioni di anni fa e condivide con esse più del 98% di patrimonio genetico. Come andrebbero le cose, nell'ipotesi che esista una cultura scimmiesca? E' la proposta del primatologo Frans de Waal, che riprende idee di E. Westermarck (1862-1939), naturalista e antropologo finlandese, già noto a Freud, che ripetutamente lo cita in Totem e tabù (capp. 1, 2 e 4).

Innanzitutto, decadrebbe l’Inzestscheu, l’orrore per l’incesto (nota 1). Tra i bonobo, che fanno sesso ogni 90 minuti (in media, naturalmente), non c’è un divieto prescritto dell’incesto. Tutti fanno sesso con tutti per appianare i conflitti sociali. Solo i figli non fanno sesso con le madri. Le femmine, che nelle comunità bonobo sono dominanti sui maschi, all’epoca dello sviluppo sessuale vengono regolarmente e pacificamente espulse dalla comunità di origine e costrette a migrare verso altre comunità, evitando l’incesto. Il meccanismo sarebbe basato sulla selezione di quelle forme di sessualità più efficienti ai fini riproduttivi, in quanto producono figli più resistenti di quelli nati da rapporti tra consanguinei (nota 2).
In secondo luogo, l’Edipo si capovolgerebbe nel complesso di Crono. Non è il figlio che desidera uccidere il padre in fantasia, ma è il padre che talvolta uccide i figli che la compagna ha avuto da partner precedenti. In realtà, il padre mira a diffondere il proprio patrimonio genetico. E' così che viene selezionato il "gene egoista".
Da una parte decade il totem, dall’altro il tabù.
Decade anche Freud?
Forse no o non del tutto.
Bisogna tener conto della prematurazione del piccolo dell’uomo (neotenia) e del lungo periodo passato all’interno del nucleo familiare. (A sua volta forma di convivenza tra ominidi selezionata per consentire la maturazione del piccolo, il quale, se maturasse in utero, non passarebbe più per il canale del parto, tanto deve aumentare il suo volume cranico). Potrebbe succedere che all’epoca della maturazione sessuale, l’avvento del desiderio sessuale "biologico" prenda le forme edipiche secondo la logica freudiana della Nachträglichkeit. “Siccome ora provo desiderio sessuale, forse ho provato qualcosa di simile per mia madre tanto tempo fa”, sarebbe il ragionamento congetturale del piccolo dell’uomo che sta crescendo. Il divieto dell’incesto o castrazione sarebbe allora una modalità conseguente, che impedisce la regressione dell’evoluzione sessuale verso gli oggetti infantili, cioè verso una scelta sessuale inefficiente dal punto di vista della selezione naturale. La cosiddetta legge paterna della castrazione sarebbe, allora, una variante della “legge” biologica della selezione del più adatto alla riproduzione. (Ma in biologia non esistono leggi deterministiche).

Analogamente il parricidio immaginario rappresenterebbe il capovolgimento dell'infanticidio reale, giuste le leggi freudiane del funzionamento inconscio. Il giovanetto, che ora si sente in forze, ragionerebbe così: "Adesso posso vendicarmi di lui; lui, che voleva farmi fuori, quando io non potevo difendermi".
Insomma, la biologia darwiniana confermarebbe il freudismo in ciò che ha di più scientifico: la logica della Nachträglichkeit. Al tempo stesso porterebbe a decadere certi stereotipi mitologici della dottrina freudiana (orrore dell'incesto e parricidio) e del logocentrismo lacaniano (funzione normativa del Nome del Padre). Insomma, la biologia darwiniana la farebbe finita con il meccanismo eziologico dell'Edipo. L'Edipo non sarebbe la causa delle nostre nevrosi, ma un loro effetto secondario. Correggendo Freud con Freud, non ci sarebbe tramonto ma alba (tardiva) del complesso edipico.

Questione per gli ortodossi: si può psicanalizzare senza Edipo?

*

C'è un ultima considerazione contro il logocentrismo lacaniano, ispirata alla filosofia del secondo Wittgenstein. Dei due termini della coppia (significante, significato) Lacan privilegia il primo. Detto in lacanese, Lacan privilegia il simbolico sull'immaginario. Detto in termini scientifici, Lacan privilegia la sintassi sulla semantica.

Ma sottovalutare la semantica significa svalutare l'uso (Wittgenstein, Ricerche filosofiche). Svalutare l'uso significa ridurre la portata della pratica. Grazie al suo logocentrismo, la psicanalisi lacaniana non si radicherebbe nella pratica clinica? Ho il sospetto che sia proprio così, addirittura che la pratica clinica sia da Lacan distorta a favore delle proprie elucubrazioni dottrinarie, queste sì significanti.

Il sospetto, come ogni congettura, non si può confermare. Solo la paranoia trova ovunque conferme... per quel che sa già e non ha bisogno di conferme.Però alcuni indizi lo corroborano fortemente. Per esempio, la traduzione ad sonum di jouissance con j'ouis sens. A furia di svalutare l'immaginario tutto nella dottrina lacaniana assume un senso smisurato. Anche il non senso. Così il godimento diventa puro senso – l'unico senso. Cosa direbbe Freud?

Infine, la fissazione logocentrica pone Lacan definitivamente fuori dal discorso scientifico. L’attaccamento al significante è paragonabile alla fallacia del fisico che pretendesse costruire tante fisiche diverse quante sono i sistemi di coordinate. Allora ci sarebbe la fisica in coordinate cartesiane, in coordinate cilindriche, in coordinate sferiche – che sarebbero diverse perché le coordinate sono diverse. Ma non esistono fisiche diverse. Esistono fisiche unificate da principi di invarianza, che cancellano le differenze di coordinate (calcolo tensoriale).
La fissazione logocentrica impedisce a Lacan di formulare principi di invarianza, quindi di dare alla teoria psicanalitica una veste scientifica.

Da ultimo resta da richiamare un dato evidente e mai riconosciuto, addirittura negato, da Lacan: il suo debito con Hegel. Il logocentrismo di Lacan non è di Lacan, ma è il logocentrismo di Hegel. Cito solo due passi della Fenomenologia dello Spirito.

Il primo passo è tratto dalla sezione VI B, dove Hegel tratta della cultura come spirito estranianato da sé:

Es ist die Kraft des Sprechens, als eines solchen, welche das ausführt, was auszuführen ist.

E' la forza della parola come ciò che attua ciò che è da attuare [necessariamente].

[...]

Die Sprache aber enthält es in seiner Reinheit, sie allein spricht Ich aus, es selbst.

Il linguaggio invece contiene l'Io nella sua purezza; solo il linguaggio enuncia Io, l'Io stesso.

E più avanti (VI C):

Wir sehen hiemit wieder die Sprache als Dasein des Geistes.

Rivediamo qui il linguaggio come esistenza dello Spirito.

Mi chiedo, allora: come ha rimosso Lacan la lezione hegeliana? Quale sintomo ha prodotto questa rimozione? Come la lezione hegeliana rimossa fa ritorno nella teoria dei tre registri, che disincarna il Reale, in quanto impossibile, dal Simbolico (significante) e dall'Immaginario (specchio)? Quali sono gli effetti su Lacan del seminario di Kojève, che presentava Hegel come apparizione delirante di dio in terra? Hegel doppio di Napoleone? Il seminario di Kojève del 1936-1937 riduce il linguaggio a linguaggio del Sapere Assoluto, cioè dello stesso Hegel. Come questo delirio, attribuito da Kojève a Hegel, grazie a un commento a sua volta "letteral-delirante" della Fenomenologia dello Spirito, ha fatto presa sul giovane Lacan? E' una questione che le scuole lacaniane non si pongono, ma che i professori di filosofia dovrebbero porsi. Consiglio loro loro di riprendere in mano L'istanza della lettera del 1957. Forse qualche idea verrà loro in mente.

Sul tema del logocentrismo lacaniano ho parlato il 4 dicembre 2012 alla Società di Gruppo-analisi Italiana, invitato da Diego Napolitani. Il titolo della mia conferenza è stato

Il logocentrismo lacaniano o la sapienza mancata.

Note

(Nota 0) Per Westermarck, come prima di lui per Darwin, la morale umana è la conseguenza degli istinti sociali preesistenti, che l’uomo eredita dai propri antenati preumani. (Torna su)

(Nota 1) L'orrore per l'incesto è una favoletta che Freud apprese da Frazer, un antropologo da tavolino, che non fece mai una ricerca sul campo. Applicando a quella favoletta i criteri freudiani dell'interpretazione sintomatologica, lo psicanalista dovrebbe vedervi non il primum movens della vita psichica ma la conseguenza dell'alterità che costituisce del soggetto e che minaccia di dissolverne l'identità, faticosamente guadagnata a suon di identificazioni. L'orrore della consanguineità va interpretato come forma invertita dell'orrore che, provenendo da interferenze consanguinee con l'altro, io stesso porti in me qualcosa dell'altro, risultando autoestraneo. Ma nell'evoluzione biologica dell'uomo le interferenze consanguinee sono state la regola. Un semplice calcolo basta a convincersene. Ogni vivente ha 2 genitori, 4 nonni, 8 bisnonni ecc. Ogni 10 generazioni (circa 250 anni) il numero di antenati si moltiplica per 1024. In mille anni io ho accumulato 1024.1024.1024.1024, cioè circa un trilione di antenati. Ma mille anni fa l'umanità non superava i 100 milioni di individui. Quindi le interferenze consanguinee sono certamente avvenute. La purezza etnica fantasmatizzata dai nazionalismi e dai leghismi, sempre più razzisti che meno, non esiste. L'io è essenzialmente contaminato dall'altro. Ma ciò è orrendo, perché minaccia la mia identità, quindi la mia esistenza. Insomma, correggendo Freud, l'aggressività è sempre autoaggressività o, in altri termini, l'autoaggressività precede l'aggressività. (Torna su)

(Nota 2) Oggi è accertato l'effetto Westermarck, cioè la desensibilizzazione sessuale tra persone che convivono nel periodo compreso tra 0 e 6 anni. (E' un fenomeno analogo alla tolleranza immunitaria, per cui un organismo non produce anticorpi verso i propri antigeni). Studi sui matrimoni nei kibbutz evidenziano l'assenza di matrimoni tra individui che hanno convissuto nello stesso kibbutz tra 0 e 6 anni. Studi sui matrimoni cinesi secondo il rito Shim-pua, dove il marito vive nella famiglia della moglie appena nato, evidenziano un numero di divorzi superiori alla media. D'altra parte è ben nota l'attrazione sessuale tra fratelli e sorelli che non hanno vissuto insieme. Insomma, secondo Westermarck, non c'è desiderio sessuale infantile per i componenti della famiglia e non c'è bisogno di invocare né l'orrore dell'incesto né il divieto di incesto. Freud, che conosceva i lavori di Westermarck, lo liquida dicendo che altri autori (Frazer) sono meglio informati di lui. Un meccanismo tipico della volontà di ignoranza. Ci sembra più scientifica di quella di Freud la posizione di Lacan, che considera il divieto dell'incesto rivolto alla madre e non al figlio. (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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